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Omar Galliani, Il disegno non ha tempo

Intervista a Omar Galliani in occasione della sua mostra personale Il disegno non ha tempo presso il MARCA Museo delle arti Catanzaro

Maestro della pratica artistica, Omar Galliani nella personale in corso al MARCA di Catanzaro, Il disegno non ha tempo, a cura di Vera Agosti e organizzata dalla Fondazione Rocco Guglielmo in collaborazione con l’Amministrazione Provinciale di Catanzaro, presenta una selezione di opere significative del suo percorso, attraverso cui si intende conferire eternità e nobilitare l’arte disegnatoria.

Interprete dell’eredità lasciata dalla tradizione rinascimentale italiana, Galliani rivisita in chiave contemporanea la classicità, attualizzandola attraverso la scelta di soggetti desunti dalla contemporaneità quotidiana, dalla crisi climatica e ambientale del De Rerum natura (2020), alla crisi sociale dei Baci rubati/Covid19 (2020), entrambi presenti in mostra.

Le sue visioni emergono e prendono forma nel dialogo tra la penombra, il nero della grafite, e la luce, il bianco del supporto, dall’incontro tra due materiali: grafite o carboncino e carta o pioppo, grazie al perfetto uso dello sfumato, che sublima e trasfigura la mimesi naturalistica di partenza, andando oltre la mera visione retinica.

Un’indagine quindi sulla componente materica del disegno, sulla potenzialità poetica della materia, che non esclude talvolta contaminazioni e interventi materici e gestuali – tra le opere esposte: Dalla bocca e dal collo del foglio disegno e collage del 1977, Tempio del sole con polvere di grafite e metallo del 1989, Mantra per Laura e Mantra per un vulcano con foglia d’oro del 1999, Santa Teresa d’Avila del 2016 realizzata con tavola, marmo, legno dorato con cui entriamo nel campo della scultura e dell’installazione – che non esclude l’azione del passare del tempo sul supporto organico, materia viva, che inevitabilmente influirà sull’eternità dei suoi capolavori, modificandone l’aspetto.

Una caducità e ineluttabilità rintracciabile anche in alcuni simboli ricorrenti, come la rosa e il teschio, quali due facce di un medesimo pensiero, il tempo che scorre in una relazione, ossimorica, tra un finito come durata eterna, non bozzetto o prova preparatoria ma opera in sé chiusa votata all’eternità, e un infinito caduco, che non fa chiudere mai l’opera, come sua possibile deformazione, deviazione accidentale.

Nell’accettazione consapevole di questa inevitabilità, è evidente un’inclinazione ascetica e mistica e un approccio alla vita tipicamente orientale, che nella sua pratica artistica si esplicita in quella dichiarata ossessione del disegno, eseguito con costanza per diverse ore, giorni, talvolta mesi di esecuzione, una tecnica meticolosa che è un rituale, una sorta di meditazione. Sforzo fisico ed esercizio spirituale.

Una pratica come vera e propria meditazione dinamica, concentrazione sul dato fisico e al tempo stesso ascetismo spirituale. L’esercizio fisico prepara il corpo alla meditazione, e guadagnando dimensioni monumentali, tende al finito, all’opera in sé conclusa, e all’infinito, al disegno infinitissimo che si dilata non solo nello spazio ma che non ha tempo.

BACI RUBATI COVID-19, carboncino e grafite su tela, CM 200×170, 2020

È presente nei Suoi lavori una forte componente ascetica e mistica proveniente dall’Oriente, non solo in alcuni riferimenti espliciti, di opere quali i Mantra (1999), in cui l’accenno spirituale ritorna anche nell’oro, o nei gesti pittorici calligrafici che conferiscono alle sue opere un’aura sacrale e misteriosa, ma a un livello più profondo, radicato nella ripetizione del segno. Come convive nei suoi lavori questa doppia appartenenza culturale, questo continuo dialogo e contaminazione tra una visione occidente e orientale?

Omar Galliani: Quando da adolescente scendevo le scale della Pinacoteca di Parma dove avevo visto i disegni o i dipinti del Correggio o del Parmigianino portavo con me il desiderio di poter rivedere quei segni sui miei fogli. La minuzia e il tempo si sposavano con la corsa che in quegli anni caratterizzavano il mio lavoro poi, crescendo a Bologna in Accademia incontrai altri segni in libri dove Hokusai sfidava con un segno d’inchiostro una grande onda o un vulcano e avevo appena visto il famoso disegno di Leonardo Paesaggio con fiume in un catalogo degli Uffizi. Questo difficile ma sensibile avvicendamento mi portarono a realizzare nel 1982 Le tue macchie nei miei occhi, una grande carta di riso realizzata con il solo inchiostro. Quest’opera fu poi esposta nello stesso anno alla Biennale di Venezia nella mostra Aperto 82. Il connubio tra Oriente e Occidente era iniziato.

DALLA BOCCA E DAL COLLO DEL FOGLIO, matita su carta + collage, CM 200×40, 1977-

Un fare arte che sfida i secoli, mai anacronistico ma sempre attuale, proprio in virtù della sua continuità con la tradizione rinascimentale, eterna a dispetto di ricerche artistiche periodicamente dominanti. Sospesa nella doppiezza tra passato e presente, eternità e precarietà cosa significa oggi produrre un’arte senza tempo?

Omar Galliani: L’Arte non ha tempo in quanto è al di la del tempo. Esistono le superfici e i mezzi della rappresentazione legati agli anni, alle poetiche o alle etichette in cui la critica d’arte facilmente ti rinchiude ma le emozioni e ciò che influenza una vera opera non seguono l’orizzontalità per perseguire invece una verticalità coraggiosa o epica avulsa da facili incasellamenti. Sono entrato e uscito dalle facili catalogazioni scegliendo in solitudine una matita e una tavola di pioppo niente di più e niente di meno. Sarà il tempo a darmi ragione o torto.

DE RERUM NATURA, matita su tavola + pastello,-CM 150X150, 2020

La lenta emersione delle Sue visioni nel dialogo tra penombra e luce è indice di una lunga meditazione sul soggetto o invece è da considerarsi frutto di un’intuizione, come apparizione epifanica e sfuggente, una vera e propria Teofania tra evidenza e trasfigurazione?

Omar Galliani: Il legno su cui lavoro è bianco, chiaro, è vegetale, boschivo, appartiene ad un bosco o ad un filare lungo le rive del Po che non conosco. La grafite è un minerale, carbonio che appartiene al sottosuolo dove si trovano i diamanti composti dalla stessa natura. Si potrebbe dire che uso due strumenti antitetici ma regolati dalla stessa natura primordiale. La verticalità del pioppo proiettato verso la luce e il cielo, la profondità oscura del ventre della terra da cui avrà origine la pietra più trasparente e dura del mondo minerale. Tutto questo si incontra nell’ultima mia opera esposta al MARCA, N.G.G./7419. La luce grezza del legno pulsa attraverso l’infittimento dei segni della grafite generando un’armonia tra luce e tenebra. Visione fisica e alchemica. L’essenziale che porta all’universale.

MANTRA PER LAURA, matita su tavola + oro in foglia C, dittico, CM 200 X 600, 1999

Una vocazione al passato che però non si traduce in un equivalente disinteresse per il presente, ma nell’urgenza di farsene interprete, creando continui rimandi al proprio tempo. Come concilia nel Suo modo di intendere e fare arte, questa doppia, e solo apparentemente antitetica, direzionalità, considerata l’attuale funzione sociale e comunicativa dell’arte?

Omar Galliani: Siamo depositari e portatori di tempo e storia ma anche di lucida contemporaneità che viviamo nelle immagini che circolano attorno a noi nel viaggiare, nel sederci in una stazione o davanti ad uno schermo di un pc o una televisione. Trovo quindi naturale questa interferenza anche se nel mio caso si traduce in simbologie che riaccendono tracce di tempi sovrapposti come in un film, es. Blade Runner 1 e 2.

NGC7419_2020-21, matita su tavola, CM 285×185. Ph Carlo Vannini

Un disegno che, tra polvere di grafite e graffiature, si fa anche segno materico, stratificato; assume un aspetto grafico e materico insieme. Quanto l’aspetto materico e fisico, e non solo la scelta di soggetti desunti dalla contemporaneità quotidiana, influenza l’evoluzione del disegno e contribuisce a renderlo contemporaneo?

Omar Galliani: Il corpo del disegno appartiene alla prima lingua rappresentata più che parlata. Se pensiamo alle grotte di Altamira o Lascaux i disegni degli animali o della caccia si alternano sulla viva roccia che si sono mantenuti grazie al microclima mentre tanti altri si saranno perduti per piogge, gelo o altri elementi della natura. Il legno grezzo che uso è materia viva che nel tempo cambierà, ingiallendo o mettendo in evidenza le venature, gli anni dell’albero. Invecchiando il legno muterà il mio disegno e ne sono consapevole come già avviene per le prime tavole della fine degli anni 80.

ROMA OMAR AMOR, matita su tavola + pastello, CM 315X400, 2012

Il passaggio operato nella scelta del supporto, dalla carta alla tavola di pioppo con la sua insita mutevolezza, fa entrare nell’opera la quarta dimensione, il tempo, che relativizza l’opera, in sé chiusa e votata all’eternità, non facendola, ulteriormente, finire mai. Come si risolve nelle Sue opere questa relazione?

Omar Galliani: Forse il tempo divorerà i miei soggetti e questa ineluttabilità delle conseguenze date dalla fisicità della materia sia legno, carta o web lascerà soltanto il ricordo delle opere per qualche tempo per poi fondersi con l’oblio davanti al quale non possiamo nulla. Questa consapevolezza può fare male ma è anche ciò che più di ogni altra cosa alimenta il desiderio, parola derivata dal latino De Sidus che tradotta è Dalle Stelle, di poter andare avanti e di progettare infiniti segni/sogni sospesi nel tempo.

SIDEREA, gesso bianco + tempera su tavola, diametro CM 120X120

Ricorrente è l’evocazione del firmamento stellato che fa da sfondo a numerose Sue opere e di costellazioni immaginarie, simboliche e preziose, da Perle del 1989 ai tondi Siderea più recenti, astronomie inventate, da sogno. Per arrivare infine a un inedito esposto in mostra, N.G.C./7419 del 2020-2021, nato sì da un sogno ma che rivela una costellazione reale ed evocativa del Suo immaginario artistico, essendo Cefeo a forma di matita. Composizioni in bilico fra realtà e immaginazione. Quasi un cerchio che si chiude?

Omar Galliani: Non so dove inizi la realtà o dove finisca per poi trasformarsi in emanazione di un altrove che non conosco ma che mi si è presentato con questa sigla N.G.G./7419 che ho sognato più volte per poi inserire questa sigla nel pc dove ho scoperto appartenere a un numero di codice che la NASA dà alle costellazioni. La mia è quella di Cefeo e la sua forma a matita è emblematica. Un collegamento affascinante e misterioso tra cielo e terra attraverso la grafite/diamante carbonio presente negli ammassi stellari intorno al sistema planetario della pulsar PSR che si trova al centro della galassia a circa mille anni luce dal Sole.

TEMPIO DEL SOLE, polvere di grafite + metallo su tavola, trittico, CM 225 X 414, 1989

Silvia Pujia

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