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Attraversò il campo di patate senza farsi alcun male: il curatore Pier Luigi Tazzi racconta ‘l’eresia irriverente’ di Michelangelo Consani.

Attraversò il campo di patate senza farsi alcun male alla Galleria ME Vannucci di Pistoia fino al 31 luglio 2021 è una mostra pensata come un’opera unica, espansiva e relazionale, che mediante immagini, suoni, sculture, installazioni e parole tocca alcuni dei punti più significativi del percorso dell’artista livornese, dall’interesse per l’ecologia, alla sostenibilità e la decrescita.


La mostra di Michelangelo Consani è allestita negli egli spazi interni ed esterni della galleria, un luogo affascinante un tempo adibito alla produzione industriale.  Ciascuna stanza, così come le opere in essa contenute, è intitolata ad un film. Spaziando da Gene Kelly a Wim Wenders, da Giuseppe Tornatore a Wong Kar-wai, la mostra riprende una linea di ricerca fertile dell’artista, intrecciata alla rilettura della storia per far emergere fatti e personaggi dimenticati dalle narrazioni ufficiali.

Pier Luigi Tazzi racconta la mostra e si pone una domanda interessante sulla ricerca di un artista ‘irriverente’, che come i personaggi che stimolano le sue creazioni, opera in gran parte al di fuori dei canoni e dei circuiti mainstream.

Michelangelo Consani, Una pura formalità, 2020. Particolare. © Nicola Gnesi. Galleria Vannucci, Pistoia.
Michelangelo Consani: Una pura formalità, 2020. Particolare. © Nicola Gnesi. Galleria Vannucci, Pistoia.
La mostra si svolge in un luogo molto particolare, potresti parlarmene?

Pier Luigi Tazzi: Un luogo insolito, lontanissimo dal White cube, un ex capannone industriale che è stato trasformato in spazio d’arte. Si trova in una strada che riflette la storia dell’espansione della città dall’inizio del secolo scorso in poi, da strada suburbana di un quartiere piccolo borghese a quartiere popolare, per poi diventare un asse di scorrimento. Queste caratteristiche lo rendono interessante per una mostra d’arte.

Anche la luce all’interno non risponde alle esigenze di una galleria, è luce diffusa e dall’alto, molto pronunciata. Ci sono, ad esempio, una parete illuminata da due grandi lucernari e un’altra completamente vetrata, che disposte in modo ortogonale accolgono la luce tutto il giorno.

In una galleria tradizionale la luce è funzionale all’opera, qui invece i due elementi sono costretti ad un dialogo. La mostra si basa sul confronto fra gli oggetti in presenza di una luce tanto forte da cancellare quasi completamente una delle opere in mostra, la proiezione di un video.

 Michelangelo Consani,Una pura formalità, 2020, disegni su carta e cartoncino da disegno francese, bronzo, marmo, patate. © Nicola Gnesi. Galleria Vannucci, Pistoia.
Michelangelo Consani: Una pura formalità, 2020, disegni su carta e cartoncino da disegno francese, bronzo, marmo, patate. © Nicola Gnesi. Galleria Vannucci, Pistoia.
Anche il titolo della mostra è molto insolito, cosa però non inusuale per Michelangelo.

Pier Luigi Tazzi: Michelangelo ha utilizzato altre volte titoli non esplicativi, neppure a livello simbolico. Potremmo dire che in questo caso la mostra non comprende solo gli oggetti che la compongono, ma anche il titolo inteso come un’altra opera dotata di una propria autonomia. È un haiku libero, ispirato a maestri giapponesi quali Ozaki Hōsai, che rendono questo genere di poesia meno legato alla forma sillabica rigida e fissa che tradizionalmente lo caratterizza, quindi ancora più prezioso.  Anche in questa circostanza, come già per agronomi, scienziati, registi e attori, Michelangelo fa ricorso ad un personaggio eretico rispetto ai canoni, a una forma di ‘eresia irriverente’.

Riguardo alle opere, quale è la particolarità di questa mostra?

Pier Luigi Tazzi: Le opere deflettono dalla loro essenza per divenire momenti concreti e fisici di stimolazione di un modo di essere. Ciascuna opera non è chiusa in sé stessa ma mezzo di apertura di relazioni. La fisica quantistica ci dice che non c’è alcuna sostanza basica solida alle radici della realtà fisica, ma delle relazioni fra elementi.  All’interno di questa mostra di Michelangelo le opere sono fisicamente consistenti, e, allo stesso tempo, sono termini di una relazione, fra loro stesse, lo spazio che le accoglie in termini fisici e concettuali, luogo e ambiente, che si estende oltre i limiti spazio/temporali che lo definiscono e che a sua volta concorre a definire, una relazione non statica che si rinnova volta per volta. Le cinque stanze quindi non sono solo divisione spaziale ma momenti diversi, ciascuno con una sua struttura e autonomia, che formano un insieme in espansione.

Michelangelo Consani, Così lontano così vicino, 2020, legno di ciliegio, cemento, gesso. Particolare. © Nicola Gnesi. Galleria Vannucci, Pistoia.
Michelangelo Consani: Così lontano così vicino, 2020, legno di ciliegio, cemento, gesso. Particolare. © Nicola Gnesi. Galleria Vannucci, Pistoia.
Prima hai parlato di ‘eresia irriverente’ potresti approfondire il concetto?

Pier Luigi Tazzi: A mio parere nel caso di Michelangelo, questa eresia è quasi una scelta obbligata, a metà strada fra la volontà di essere dell’artista e una condizione preesistente, che resta sostanzialmente ignota, una condizione che induce, attraverso molti indizi rintracciabili nelle opere, a pensare che possa trattarsi di una cultura soggetta, che non viene enunciata e che comunque ci riguarda da vicino.

A questo proposito, nel tuo testo critico sulla mostra, quando parli di cultura soggetta citi Danh Võ e David Hammons, anche in risposta a un giovane artista che rileva una somiglianza fra il tipo di montaggio messo in opera da Michelangelo nella mostra e quello dell’artista vietnamita. Potresti approfondire?

Pier Luigi Tazzi: Mentre quella di Michelangelo è ancora da esplicitarsi, le insorgenze delle culture soggette, quella afroamericana di David Hammons, parallela quella dei popoli nativi americani, di cui è un campione Jimmie Durham, e quella della diaspora sud-vietnamita di Danh Võ, sono storicamente definite. La storia dell’arte occidentale è stata trasformata dall’iniezione di queste culture soggette che hanno sovvertito e messo in crisi il suo modello dall’interno.

 Di fatto la crisi del modello dell’Arte Occidentale deriva non solo dall’arrivo in Occidente di culture extraeuropee, ma anche da insorgenze interne, come quelle della cultura afroamericana e nativa americana, che scaturiscono proprio da quello che nel Secondo Dopoguerra era divenuto il centro dell’Impero Occidentale, gli Stati Uniti, fra costa occidentale con New York e orientale con la California. E non voglio omettere l’altro fattore fondamentale della crisi: l’emersione della sensibilità femminile. La condizione di crisi permane e non si è costituito un nuovo modello a sostituire il vecchio che è stato scardinato.

Michelangelo Consani, Una pura formalità, 2020, . Galleria Vannucci, Pistoia.
Michelangelo Consani, Una pura formalità, 2020, gesso, legno, filo di lana, bronzo, marmo, patate. © Nicola Gnesi. Galleria Vannucci, Pistoia.

Per tornare al mio testo, quando Dilo, un giovane artista all’Accademia di Bologna, commenta la mostra mettendo in relazione il montaggio del lavoro di Michelangelo di Così lontano, così vicino con l’opera di Danh Võ, io evoco David Hammons, perché a mio parere Danh Võ deriva la sua grammatica, il suo sistema di montaggio, direttamente da Hammons, che a sua volta lo assume dalla sottocultura afroamericana che si è sviluppata dal Jazz in poi. 

Ma mentre Danh Võ ha piena coscienza che soltanto utilizzando quel tipo di montaggio, attraverso l’uso di quella metodologia, può scalfire il dominio occidentale di cui è stato vittima avendo subito il colonialismo, prima, e, poi, i disastri di varia natura derivati dalla guerra fredda, per Michelangelo resta un non detto che io azzardo ad assimilare al linguaggio di una cultura soggetta riscontrando un’analogia nella grammatica di montaggio.

Michelangelo Consani, 2046, 2020, patate colorate. © Nicola Gnesi. Galleria Vannucci, Pistoia.
Michelangelo Consani, 2046, 2020, patate colorate. © Nicola Gnesi. Galleria Vannucci, Pistoia.
Sempre nel tuo testo, fai riferimento al campo di patate come spargimento e diffusione, utilizzando il termine ‘rasoterra’.

Pier Luigi Tazzi: Il concetto di rasoterra fa sempre parte della domanda che mi sono posto. Ma è anche significativo in relazione ad un altro fatto.  In questi due anni conseguenti alla pandemia, se qualcosa è cambiato nel sistema dell’arte è che le grandi gallerie, il sistema a livello alto, ha retto, mentre il livello intermedio, quello che forse era anche il più parassitario, ha ceduto. Il sistema di base, della produttività immediata dell’arte, rasoterra appunto, di cui per certi versi Michelangelo fa parte, quello è rimasto invariato, non ha sofferto.

Hai progetti futuri con Michelangelo?

Pier Luigi Tazzi: Una mostra in Cina che stiamo programmando ormai da un anno, commissionata dal Sichuan Fine Arts Institute (SFAI) per celebrare cinquant’anni d’amicizia fra Italia e Cina. Per la parte italiana della mostra, presenterò cinque artisti per ciascuno degli ultimi cinque decenni, Michelangelo sarà nel decennio 2000/2010, quello insomma delle rivoluzioni incerte.

Fonti e approfondimenti:
Galleria ME Vannucci, via Gorizia 122, dalle 10.00 alle 20.00 Fino al 31 luglio 2021, da mercoledì a sabato, 09.30-12.00 / 16.30-19.30 
Domenica, lunedì e martedì su appuntamento.
Per garantire la massima sicurezza è necessario comunicare la vostra visita alla mostra scrivendo a info@vannucciartecontemporanea.com oppure telefonando al +393356745185. 

Alessandra Alliata Nobili

Founder e Redazione | Milano
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