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Pino Pinelli: Pittura oltre il limite

Una doppia personale a Palazzo Reale e alle Gallerie d’Italia è l’importante riconoscimento che la città di Milano dedica alla carriera artistica di Pino Pinelli. Unico nel contesto delle ricerche che negli anni settanta deflettono la pittura dal piano rappresentativo a quello analitico, il percorso di Pinelli è una riflessione personale sul monocromo. L’artista catanese, attivo a Milano dalla metà degli anni sessanta,   s’interroga su come intervenire per accostarsi all’essenza della pittura e giunge con un’intuizione geniale a liberarla dalla costrizione spaziale del quadro; ne reinventa, a tutti gli effetti, l’identità, disseminandola in frammenti di forma/colore sulla parete. La rottura del quadro apre nel tempo nuove prospettive: il coinvolgimento dinamico di ambiente ed opera, la pittura come ‘corpo’ ed epidermide che stimolano un desiderio tattile, la concentrazione del colore in corpi cromatici d’intensa purezza, le combinazioni di colore che diventano pura emozione, il ritmo delle forme che si accostano o s’incrociano danzando sulla parete.

Pittura Oltre il Limite, l’antologica curata da Francesco Tedeschi appena conclusasi a Milano, ripercorreva la carriera dell’artista dagli anni settanta ad oggi con oltre quaranta opere, prima grande retrospettiva dedicata ad un esponente della Pittura Analitica a Palazzo Reale. Accompagnata da un brano di Johann Sebastian Bach, completava l’antologica alle Gallerie d’Italia in Piazza della Scala un’installazione monumentale inedita, che illustrava con più di cento frammenti rossi l’alternanza dei cinque movimenti musicali: ritmo grave, l’andante e il mosso, fino al brio e all’adagio.

Pino Pinelli e Alessandra Alliata Nobili, Milano, 2018, foto di Carolina Pasa
Questa doppia personale a Palazzo Reale e alle Gallerie d’Italia sono un momento molto importante per la tua carriera e un grande riconoscimento da parte della città di Milano. Mi parli delle due mostre?

Pino Pinelli: È certamente un momento clou del mio lavoro. La mostra a Palazzo Reale ha un taglio molto preciso che traccia il mio percorso con otto sale espositive e una sala dedicata al film La Luce di Pino Pinelli, di Mimmo Calopresti, che è stato presentato lo scorso anno al festival di Taormina. Il percorso prende avvio dagli anni settanta, con un lavoro che fu esposto nel 1973 in una mostra intitolata Un artista dipinge per avere qualcosa da guardare alla galleria Vinciana di via del Gesù a Milano, che promuoveva nuove proposte oltre ad artisti già affermati. Quello fu un incipit, ma il vero debutto fu ad Empirica, la mostra organizzata a Rimini, e successivamente a Verona, da Giorgio Cortenova, mostra storica importantissima alla quale parteciparono artisti da tutto il mondo. Ciascuno aveva a disposizione un box di quasi 50 mq, c’era quindi la possibilità di mostrare bene il nostro lavoro. Lì presentai i miei monocromi. Accanto ad un monocromo, avevo appeso una piccola pelle di daino intelaiata, un lavoro forse un po’ didattico,  che suscitò comunque un discreto dibattito e anche alcune critiche. Ricordo bene che fui molto difeso da Mario Nigro. Iniziavo un discorso nuovo sulla tattilità, perché volevo mettere in gioco un altro senso oltre allo sguardo. Nella scultura il rapporto con la mano è più spontaneo, marmo e bronzo si lasciano accarezzare, cosa che non avviene in pittura. La pittura per me è femmina, carica di seduzione ma altera, chiede di essere guardata, ma comanda anche una distanza.

Dalla mostra emerge la tua linea estremamente coerente di pensiero, hai mai avuto incertezze?

Pino Pinelli: Non ho mai avuto tentennamenti e ho cercato, sempre all’interno di un discorso sulla pittura monocroma, di cavalcare la tigre, di spostare il limite della conoscenza. La pittura ti sbranase non la domini, ed è difficile non cadere nel retorico o nell’eccesso. Compito dell’artista è quello di trasformare un materiale conosciuto in enigma.

Pino Pinelli Pittura oltre il Limite, Palazzo Reale, Milano, 2018
In mostra però sono esposte le tue ‘topologie’, sempre dei primi anni settanta, che non sono monocromi…

Pino Pinelli: Fanno parte del mio percorso prima della rottura del quadro. In quel momento m’interessava una geometria ‘molle’ non euclidea, come disegnata su di un tappeto di gomma, che mettesse in discussione le regole. In fondo è questo il senso del mio lavoro. Questo tentativo di rompere le regole mi ha poi portato a pensare la pittura ‘oltre’ e a interrogarmi su come procedere, dal momento che avevo alle spalle una storia, più di cinquant’anni, di artisti che si esprimevano con il monocromo. Mi muovevo su un orto già molto coltivato, e volevo trovare il mio orticello. Mi sentivo all’interno di un territorio con un perimetro, volevo uscire, creare un concentrato atomico della pittura. La pittura è espressione di ciò che siamo; corpo, carne, pensiero, sensualità e respiro; è un confessionale, dove ci si mette a nudo: se la pittura non è sincera o non ha anima, non lo si può nascondere. Inoltre, come scrissi allora in alcuni miei interventi, ero consapevole che l’artista italiano tutti i giorni si trova a fare i conti con la storia, una storia meravigliosa e unica al mondo, ma che ha un grande peso, ti schiaccia.

Il piccolo miracolo per me avvenne nel 1976, con la rottura del quadro, che appariva come un telaio tagliato un quattro parti, lasciando solo i quattro frammenti degli angoli ricoperti di flanella non preparata che con numerose velature sovrapposte di colore, spruzzate con l’aerografo, assumeva l’aspetto di una pelle. Era al contempo un tentativo di cambiare il materiale della pittura e rendere il muro da destinatario passivo a ricettore attivo. I quattro frammenti attivavano questo processo, stimolando la superficie di muro compresa all’interno dei quattro angoli. Il lavoro fu visto da Filiberto Menna, che spesso veniva a trovarmi nel mio studio di via Brera 23 a Milano frequentato allora da collezionisti, critici e colleghi, italiani e stranieri. Sia Filiberto Menna che Italo Mussa restarono colpiti dal lavoro. In quel periodo Mussa stava preparando la mostra I colori della pittura, organizzata all’Istituto Italo Latino Americano a Roma. Mi disse però che non poteva presentare il mio lavoro a Roma, perché con la rottura del quadro, in un certo senso avevo spostato in avanti il discorso sulla pittura, sparigliato le carte. Allora Italo curava la Rassegna Internazionale d’Arte Acireale e mi promise che avrebbe, quello stesso anno, pubblicato il lavoro, cosa che puntualmente avvenne, nel catalogo della mostra Senza Relazione/I. Il verosimile Critico.

Menna invece mi dedicò la copertina del fascicolo d’approfondimento sulla pittura analitica di un importante collana di libri pubblicata da Fratelli Fabbri Editore.

Come nacque l’idea di disseminare la pittura nello spazio?

Pino Pinelli: Accadde nello stesso anno, il ’76. Fu come scrivere la mia sintassi. Non so descrivere precisamente la genesi dell’idea, fu un’evoluzione naturale. Le idee arrivano, come una folgorazione, di giorno, spesso anche di notte, e devi essere veloce ad afferrarle, scriverle su un pezzetto di carta, altrimenti fuggono. Fui molto supportato dai critici, non solo Menna e Mussa ma Vittorio Fagone, Giorgio Cortenova e Bernard Lamarche-Vadel, un giovane critico francese di successo, che m’invitò a partecipare ad una mostra a Parigi. Ebbi modo di presentare questo lavoro anche al Museo di Arte Moderna. Sempre a Parigi seguì una personale da Chantal Crousel,  e poi personali e collettive Lione, Nizza, e in Germania, a Colonia e Düsseldorf.

Pino Pinelli, Pittura oltre il Limite, Palazzo Reale, Milano, 2018
Il circuito era quindi principalmente europeo.

Pino Pinelli: Allora sì, l’America era una chimera irraggiungibile. Ora si stanno aprendo altre possibilità, il Belgio e l’Olanda, ad esempio. Il lavoro si è internazionalizzato, si sono aperte opportunità in Cina e Giappone. Noi italiani non abbiamo mai avuto la potenza economica e propagandistica dell’America. Negli anni sessanta e settanta, quando gli artisti americani venivano a fare mostre in Italia, il loro lavoro s’imponeva in maniera quasi automatica. Più raramente i nostri artisti andavano a fare mostre in America. C’era anche una barriera linguistica, la lingua più studiata allora era il francese, pochi artisti e critici parlavano inglese. Questo ha ritardato di anni l’internazionalizzazione del lavoro. Per quanto mi riguarda personalmente, ci fu un momento d’arresto con il grande dispiacere per la morte di Filiberto Menna. Venne a mancare il mio critico di riferimento, grande teorico, una mente che volava a novemila metri in qualche secondo, con un’accelerazione che è di pochi. Sono sempre stato orgoglioso della stima che mi ha accordato.

Come si è poi sviluppata la tua intuizione?

Pino Pinelli: Negli anni ottanta, dopo aver cambiato pelle, che si riempie di anfratti e acquista un respiro e una vibrazione, il lavoro prende carne ed ossa, diventa una pittura che ha corpo. Ritorno ai colori fondamentali che avevo usato fino al 75, con più rare incursioni nel verde, viola, arancione, grigio. Negli anni novanta, la materia rinvigorisce con forme più libere, anche ovali, che sembrano danzare le une con le altre con un trasporto quasi sensuale. Poi le grandi disseminazioni con incroci bianchi ‘toccati’ da incroci grigi, come un colpo di piatti in una composizione musicale.

L’ottava ed ultima sala, con quattro lavori tutti rossi, fra i quali una disseminazione con elementi obliqui di più di tre metri, è un collegamento ideale con la personale che si svolge alle Gallerie D’Italia. La mostra nella sala delle Gallerie d’Italia dedicata agli approfondimenti sull’arte contemporanea, è accompagnata da un brano di Johann Sebastian Bach, Preludio in Do Maggiore BWV 846. La musica stessa suggerisce il passo di questi frammenti nello spazio. È un quintetto, che ho intitolato I cinque movimenti. La sequenza si apre con un primo movimento dove la pittura spancia verso il basso; segue una parete centrale di venti metri dove grandi forme arcuate guizzano e s’inseguono danzando; il terzo movimento è una grande disseminazione lanciata verso l’infinito, mentre nelle restanti due pareti, adiacenti, una forma sinuosa modulata come una nota, appare prima scavata del suo cuore interno, e nella seconda versione accostata ad esso, con un movimento ritmico di pieni e vuoti. Pur lavorando sul grado zero, sull’assoluto della pittura, con questa mostra ho cercato di trovare ancora delle possibilità, di esserci.

Pino Pinelli Pittura oltre il Limite,Palazzo Reale, Milano, 2018
Dopo questa grande mostra, c’è un luogo dove ti piacerebbe particolarmente esporre?

Pino Pinelli: Da poco è entrato al Centro George Pompidou un mio lavoro, e forse si terrà anche una mostra di artisti italiani. Pensandoci bene però, dopo le ‘invasioni’ di arte americana che abbiamo subito negli anni sessanta e settanta, mi piacerebbe finalmente dare una risposta italiana con una grande mostra in America…

Pino Pinelli in studio, Milano, 2018, foto di Carolina Pasargiklian

Alessandra Alliata Nobili

Founder e Redazione | Milano
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