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Gillo Dorfles, un nostro ricordo

Vogliamo ricordare Gillo Dorfles, riproponendo un’intervista del 2008, quando incontrammo il grande critico nella sua casa museo di piazzale Lavater a Milano. Ci presentammo puntuali alle cinque del pomeriggio, ora concordata, ma per un contrattempo Dorfles non era stato avvisato. Ci aprì la porta sorpreso e un po’ contrariato, le borse del supermercato ancora in mano. Acconsentì comunque all’intervista, ma non a essere fotografato (oggi non sono abbastanza in ordine, ci disse) nonostante, come sempre, fosse elegantissimo. Bastarono pochi minuti: il suo fair play di uomo di mondo, e la nostra ammirata curiosità sulla straordinaria quadreria del suo salotto, dissiparono l’imbarazzo di quella piccola contrarietà.

Attualmente, fino al 30 settembre, il Castello dell’Abate di Castellabate (SA) ospita una sua personale dal titolo Oltre lo sguardo. Gillo Dorfles 1910-2018, curata da Luigi Sansone. Un’interessante selezione di opere dal 1940 al 2012, compresi i disegni realizzati nel 2013 per le etichette da vino dell’Azienda agricola San Salvatore di Giungano (SA).

È difficile concentrare in poche righe quello che Gillo Dorfles rappresenta per la cultura italiana. Triestino, classe 1910, laureato in medicina con specializzazione in psichiatria, Dorfles è stato Professore di estetica a Milano, Trieste e Cagliari e Visiting Professor nelle Università di Città del Messico, New York e Buenos Aires. Artista, critico, saggista, filosofo, musicologo, esperto di design, fondatore del Movimento Arte Concreta nel dopoguerra, è stato protagonista come pittore di numerose mostre in Italia e all’estero. Gillo Dorfles ha attraversato il Novecento come attore e spettatore, sempre con grande lucidità e acutezza di pensiero e di giudizio, spesso fuori dagli schemi. Lo incontro nella sua casa di Milano per parlare di come vede il mondo dell’arte nel nuovo millennio.

Con l’avvento della globalizzazione e di un campo ‘allargato’ dell’arte, non parlo solo di tecnologia ma dell’affermarsi di aree del contemporaneo al di fuori del canone occidentale, com’ è diventato il mestiere del critico? Oggi il critico può ancora avere un ruolo propositivo nell’evoluzione dei linguaggi estetici?

Gillo Dorfles: Naturalmente il critico dovrebbe sempre avere una certa influenza nel guidare e nel controllare quello che sta succedendo nel campo dell’arte. Non credo effettivamente che l’abbia davvero, soprattutto in questo momento, perché gli artisti cercano di svincolarsi dalle varie tendenze per fare qualcosa di nuovo. Questo qualcosa di nuovo molto spesso non è ancora criticabile, quindi direi che in questo momento la critica passa un periodo diciamo ‘critico’.

Biennale di Venezia 1966, Gillo Dorfles con Gino Marotta, Riccardo Guarneri, Paolo Scheggi e Agostino Bonalumi.
Biennale di Venezia 1966, Gillo Dorfles con Gino Marotta, Riccardo Guarneri, Paolo Scheggi e Agostino Bonalumi.
E che cosa pensa del sovrapporsi della figura del critico con quella del curatore?

Gillo Dorfles: La sovrapposizione della figura del critico con quella del curatore direi che è tipica di questo momento. Ossia da quando l’arte è entrata a far parte del mercato massicciamente, naturalmente era più importante avere un curatore che non era autonomo e che non era indipendente, di un critico che dovrebbe essere indipendente.

A suo parere oggi si produce, almeno in parte, per soddisfare i gusti dei grandi collezionisti? E questo non concorre ad un appiattimento dell’arte contemporanea?

Gillo Dorfles: Indubbiamente oggi molto spesso l’artista si piega al mercato, salvo quando è il mercato che lo inventa e allora il critico cerca di accontentare quello che vede come arte che risponde al mercato. Naturalmente questa è una cosa dannosa perché è contro l’idea dell’artista puro, semplice, che vive nella soffitta, che fa la fame, tutto per l’arte. Oggi tutto questo non c’è più. Oggi anche il ragazzino dell’Accademia pensa già a quello che renderà appena è licenziato. Mi è successo, l’ho già citato almeno due o tre volte, di andare all’Accademia Albertina a Torino dove dopo la conferenza che io avevo fatto, un ragazzino di diciotto anni mi ha detto: ‘Lei che è così esperto, mi può dire a quanto devo mettere un mio quadro?’ Basterebbe questo per dire tutto.

Recentemente Yoko Ono ha detto che bisognerebbe riportare nell’arte ‘l’energia della ribellione’. Lei crede che oggi sia venuto meno questo impegno sociale non solo negli artisti ma anche negli intellettuali? È difficile fare arte radicale in un’epoca nella quale l’industria della cultura sembra assorbire e neutralizzare ogni tipo di critica?

Gillo Dorfles: Quanto all’affermazione di Yoko Ono, credo che sia assolutamente velleitaria. Sarebbe bene che vi fossero degli artisti autonomi che lavorano per se stessi prima che per il mercato, però la cosa è molto difficile, proprio perché in un certo senso la globalizzazione di cui si parlava prima ha fatto sì che ci sia una conoscenza diffusa in tutto il mondo di quelle che sono le tendenze artistiche, quindi è molto difficile che un artista crei per conto suo senza essere sottoposto a queste regole.

Quindi pensa che oggi ci sia poco di originale in giro.

Gillo Dorfles: Indubbiamente, sì. Si spera sempre poi che capiti un artista abbastanza autonomo da poter reggere al di fuori della tendenza del momento.

Lei è stato fra i primi a sviluppare un discorso sul corpo come linguaggio. Il media che negli anni sessanta ha documentato questo discorso sul corpo è stata la video art. Come crede sia cambiata da allora? Ha perso la connotazione avanguardista degli anni sessanta?

Gillo Dorfles: La video art naturalmente ha avuto molta importanza, poi ha avuto un’eccessiva importanza, come nelle ultime Biennali. Io ritengo che continui ad avere importanza, come il cinematografo e la fotografia. Quindi ogni nuovo mezzo tecnologico ha la sua importanza e il suo linguaggio, l’importante è non abusarne.

Vede ancora gli stessi contenuti in un certo senso rivoluzionari della prima video art in quella di oggi?

Gillo Dorfles: Le forme più interessanti erano le prime, dove si scopriva il nuovo linguaggio, ormai è alla portata di chiunque.

Milano, Conservatorio, Gillo Dorfles, Ensemble intercontemporain diretta da Susanna Mälkki, musiche di Olivier Messiaen ©Lelli e Masotti
Milano, Conservatorio, Gillo Dorfles, Ensemble intercontemporain diretta da Susanna Mälkki, musiche di Olivier Messiaen ©Lelli e Masotti.
Secondo lei c’è oggi una tendenza più estetizzante rispetto ad allora?

Gillo Dorfles: Ma, appunto, il momento migliore è stato quello di cinquant’anni fa.

Ricorda qualche artista che l’ha colpita in modo particolare?

Gillo Dorfles: Bill Viola o Pipillotti Rist, poi alcuni artisti che hanno prodotto video per conto loro un po’ artigianalmente hanno fatto a volte cose più interessanti di quelli con tutti i mezzi tecnologici avanzati a disposizione.

Nella sua raccolta di saggi intitolata ‘Horror Pleni’, lei afferma che oggi c’è un‘eccesso’ di messaggi, quello che lei chiama ‘inquinamento immaginifico’.

Gillo Dorfles: Tengo molto a questo libro perché credo che sia uno di punti deboli, anzi forti, dei malanni che ci capitano.

L’eccesso?

Gillo Dorfles: L’eccesso dei dati, anche nell’arte naturalmente. Un tempo emergevano solo in pochi, Piero della Francesca, Giotto e cinque o sei minori, oggi anche nella più piccola città ci sono decine di artisti che naturalmente non arriveranno mai a essere conosciuti.

Crede ancora nell’utilità del museo didattico, dove viene costruita una traiettoria storica che collega passato e presente, come ad esempio la National Gallery a Londra? Quale potrà essere il museo del futuro?

Gillo Dorfles: Sul museo ci sarebbe molto da dire. Certo, il museo dovrebbe essere anche didattico. Ma in genere i musei sono quasi tutti sbagliati, perché il museo dovrebbe essere un luogo scientifico e storicamente organizzato e anche un luogo di ritrovo, quindi con i caffè, i ristoranti con l’ubicazione magari nel paesaggio.

Quindi il museo dovrebbe essere un luogo d’incontro diciamo, per l’arte invece molto spesso non lo è. Naturalmente i musei si dividono in moderni, contemporanei etc. Per quanto riguarda la contemporaneità, la cosa dovrebbe essere ben distinta, cioè il museo dell’ottocento, ad esempio, non dovrebbe avere nulla a che fare con il museo contemporaneo.

Gillo Dorfles, Senza titolo, 1910, acrilico su cartone, 32 x 48 cm.
Nel suo saggio ‘Artificio e Natura’ lei dice che con l’affermarsi dei nuovi media elettronici si è venuto a creare uno ‘spartiacque fra il prima e il dopo’. Dice anche che una parte delle manifestazioni artistiche attuali sono rispecchiamenti di precedenti filoni artistici. E’ difficile secondo lei trovare un equilibrio fra artificio e creatività? E la creatività è legata in qualche modo al ‘gesto’, alla fisicità umana?

Gillo Dorfles: Indubbiamente l’avvento dei nuovi media ha dato delle possibilità che prima non esistevano. Posso pensare al Paolo Veronese della Fondazione Cini a Venezia. Lì c’è questo meraviglioso Paolo Veronese sull’altare che è la copia identica elettronicamente realizzata di quello che c’è alla National Gallery di Londra, non c’è differenza, è perfetta. Allora questo cambia tutti i nostri vecchi concetti: il quadro della Fondazione Cini non è più il prodotto di un falsario, come Van Meegeren, molto bravo, che ha dipinto il famoso finto Vermeer, ma è lo stesso quadro, identico. Ora naturalmente non c’è più l’unicum, allora la copia non è più una copia eccetera eccetera.

Allora quando Walter Benjamin parlava della scomparsa dell’aura grazie all’avvento della riproduzione meccanica, aveva essenzialmente torto?

Gillo Dorfles: Benjamin è stato prezioso appunto perché ha capito la fine dell’unicum, però non ha previsto che potevano esserci molti unicum, anzi molti unici. Come nella Video Art, che inizialmente doveva essere un mezzo per criticare il concetto di aura e poi essenzialmente l’ha riprodotta, moltiplicandola. Il problema dell’aura è sì un problema famoso e importantissimo, però oggi sta scomparendo.

In ‘Fatti e Fattoidi’ lei individua una tendenza dell’arte contemporanea alla crudeltà sadica. Questa insistenza spesso un pò patologica, penso a Stelarc, ma anche Hatoum, Saville etc, è dovuta a una fase storica particolare? C’è confusione o insicurezza oggi su quello che è la natura umana?

Gillo Dorfles: Direi che è quasi ovvio che in un periodo come il nostro dove vediamo sgozzare una ragazza perché il padre non voleva che avesse il fidanzato cattolico, è logico che anche nell’arte entrino degli elementi crudeli e anche orrorifici insomma.

Ma questa insistenza sul viscerale, sull’intervento per modificare il corpo, ad esempio lei cita Stelarc e Orlan, che significato ha?

Gillo Dorfles: Naturalmente le considero delle patologie. Orlan è diventato un mostro per colpa sua e peggio per lei insomma, non credo che vadano né ammirati né incoraggiati. Ci sono però delle tendenze, decisamente artistiche, che si servono di questi elementi, basti pensare all’Azionismo Viennese. Ad esempio, Brus è un grandissimo artista, mentre Schwarzkogler che voleva castrarsi o l’ha fatto veramente, era da biasimare. Brus si è servito di questa crudeltà per creare dei disegni che sono affascinanti.

Parlando di un altro rito contemporaneo il presenzialismo è diventato indispensabile, anche per gli artisti e i filosofi?

Gillo Dorfles: Mah, questa domanda non mi convince molto, non direi… che cosa intende esattamente?

Che oggi si deve apparire a tutti i costi.

Gillo Dorfles: Sì, naturalmente molto spesso chi è scrittore o musicista finisce per avere un aspetto spettacolare e quindi diventa un’icona come si suol dire e aumenta la sua importanza però…

Lei parlava di ‘vetrinizzazione’.

Gillo Dorfles: Sì però questo fenomeno rientra nei mass media, nei settimanali illustrati eccetera, non mi pare che sia qualcosa di sostanziale.

Lei afferma che: ‘il bello esiste ed esisterà sempre’. Dove vede oggi il bello?

Gillo Dorfles: Alla domanda del bello non si risponde mai, non si sa che cosa sia il bello.

Gillo Dorfles, Senza titolo, 2008.
A che opere sta lavorando oggi come pittore? Perché si è definito traditore dell’avanguardia?

Gillo Dorfles: Bè sto lavorando sempre alla fine delle avanguardie, cioè lavorando ‘contro’ le avanguardie.

Cosa significa ‘contro le avanguardie’?

Gillo Dorfles: Significa esattamente contro le avanguardie, cioè la Pop Art è stata una grande stagione, l’arte Povera è stata anche quella per l’Italia una delle più importanti affermazioni. Io non ho mai dipinto come la Pop Art, mai come l’Arte Povera e quindi non dipingo neanche oggi come Cattelan o la Beecroft, sempre nell’illusione di fare qualcosa di autonomo, se poi non lo è non lo posso dire io! Bisogna che gli altri afferrino che effettivamente quello che ho fatto non ha niente a che fare con gli altri, è contro le avanguardie, allora sarò molto soddisfatto.

Gillo Dorfles nella tenuta vinicola San Salvatore 1988, Giungano (SA). Foto di Mario Cavallaro.

 

Alessandra Alliata Nobili

Founder e Redazione | Milano
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