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La circolarità dell’opera d’arte. Intervista a Minus.log

Con il nome Minus.log il duo artistico composto da Manuela Cappucci e Giustino Di Gregorio porta avanti dal 2013 una ricerca basata sulla poesia dello spazio vuoto che si traduce in installazioni audiovisive, oli su tela e acquerelli dall’estetica minimale. Il processo artistico, che appare al primo impatto di riduzione, sembra suggerire una domanda: cosa accade se lasciamo parlare il silenzio? Con tale interrogativo abbiamo dato la parola agli artisti attraverso una carrellata delle opere fino alla produzione più recente di Minus.log.

Minus.log, Horizon, olio su tela, 60×60, 2019

Navigando sul sito http://minuslog.it/ si legge a introduzione della vostra ricerca la frase “l’esperienza creativa genera qualcosa che si trasmette e va avanti da sé, in qualche modo. Qualcosa di circolare e inconsapevole”. Potreste parlarci dell’esperienza creativa di cui accennate? Come si traduce nelle vostre opere?

Minus.log: Ogni lavoro che realizziamo tende idealmente alla circolarità. Con “circolare” si intende il percorso di un’opera che prosegue al di là della sua stessa presenza: un’opera che comunica riesce a trasmettere qualcosa, creando un gioco di rimandi con lo spettatore e lo stesso autore, nei momenti migliori, diventa spettatore e si trova di fronte a qualcosa che non aveva previsto. Si tratta di aprire un canale comunicativo profondo, un’attitudine alla permeabilità che poi è la prosecuzione della stessa attitudine che coltiviamo nel processo creativo. Quando abbiamo esposto la serie “Cure”, al Museolaboratorio di Città S.Angelo (Pescara) e alla Galleria Bianconi di Milano, abbiamo ascoltato diversi feedback da chi è venuto a visitare la mostra e ci siamo accorti che ognuno viaggiava nel suo mondo, vedendo ciò che era più prossimo al proprio universo. Se si potesse parlare di utilità, nell’arte, rischiando di essere fraintesi e considerati banali, potremmo dire che ci piace che l’opera faccia “star bene” le persone innescando un lavorio emotivo e/o intellettuale che si traduca nell’energia che è più congeniale a ciascuno. La nostra opera ideale non ti fa sentir scomodo nel mondo, pur toccando corde profonde, questo probabilmente è dato dal fatto che se ne riconosce l’autenticità. Un po’ quello che succede a noi con artisti come Brian Eno o David Lynch, apparentemente lontani tra loro, hanno entrambi il dono dell’immediatezza, dell’autenticità, riconosci istintivamente un’assenza di sovrastrutture e pastoie accademiche che rendono la comunicazione immediata, semplice e profonda al tempo stesso. Danno serenità pur esplorando gli abissi. Ti dicono: “Si può fare, lasciati guidare dal processo”. Entrare in sintonia con questo mondo creativo ti dà l’energia per continuare a cercare. Questa è la circolarità.

Minus.log, No chance to tell, acquerello, 19×19, 2020

Negli oli su tela le figure sembrano emergere dal supporto, fluttuanti sullo sfondo candido, per evocare l’origine della figurazione stessa, l’origine dell’umanità. Le figure che ne emergono non sono “superstiti”, ma “primigenie”, poiché ci riconducono a una figurazione archetipica che sembra nascere sulle vostre tele, ma che allo stesso tempo è sempre stata lì. Potete descriverci il vostro processo creativo? Come lasciate emergere le immagini?

Minus.log: Se la sensazione che ti suscitano è questa non possiamo che esserne felici. Spesso cerchiamo di metterci a lavoro in una posizione il più passiva possibile e vedere cosa emerge, cosa ci suggerisce la tela. L’horror vacui di fronte alla tela vuota prende piede quando prevale l’idea del dover fare, riempire. A noi piace entrare in relazione con lo spazio vuoto, nelle tele come nelle installazioni, ci piace ascoltarlo e vedere cosa suggerisce. Cerchiamo di avvicinarci al lavoro con la testa e le mani il più possibile libere da quelle aspettative che immancabilmente si affacciano nel processo creativo. E’ un approccio riconducibile, per certi versi, ad un mondo estetico orientale al quale si sono aperti già diversi artisti occidentali del Novecento, uno tra tutti Paul Klee che ci è particolarmente caro e che ha esplorato a lungo proprio la genesi della creazione, l’emergere di forme e linee dallo spazio. Il dialogo con l’Oriente è molto fertile, a patto che non si cerchi di aderire a questa o a quella corrente estetico/filosofica banalizzandola. E’ fertile proprio per le tante difficoltà che presenta per noi occidentali. Insomma, sarebbe suggestivo dire, in sintonia con la pittura zen, che l’opera emerge da sé in un diverso stato di coscienza, ma non è così. Si tratta di trovare costantemente un equilibrio naturale tra tutte le forze che emergono durante il lavoro: quelle che ti spingono in direzioni già esplorate, quelle che ti aprono al nuovo, quelle che già vedono il lavoro completato, quelle che rifuggono i condizionamenti e le aspettative e tante altre che si sono nutrite e si nutrono delle più diverse suggestioni. L’attitudine migliore è rimanere in questo processo con un atteggiamento di apertura e, quando va bene, nasce un lavoro che suggerisce la sensazione che hai avvertito.

Tecnicamente parlando, queste immagini che chiami “primigenie” vengono fuori dall’uso di colori molto diluiti oppure stesi a strati con dei tamponi: in questo modo il colore non aggredisce lo spazio vuoto ma dialoga gradualmente con il bianco in modo naturale. Anche la scelta del colore è molto importante perché dobbiamo cercare colori che, per la loro composizione, ci permettano questa lavorazione naturale. Scegliamo quelli la cui texture ci permetta di lavorare con semplicità e con pochi gesti. Prima della fase creativa in senso stretto sperimentiamo a lungo i materiali e la loro resa sui supporti.

Minus.log, Cure 01, installazione. Museolaboratorio (Città Sant’Angelo, PE), 2015

Nelle vostre prime opere avete fatto uso di proiezioni, mentre le opere più recenti sono serie di oli su tela e acquerelli. Cosa significa la tecnologia per voi?

Minus.log: La tecnologia è al servizio del mondo che vogliamo creare, insieme a mezzi definiti più tradizionali. In realtà lavoriamo spaziando in modo piuttosto fluido tra le diverse possibilità che abbiamo: le suggestioni offerte dal digitale entrano nei lavori su tela o carta, così come, nella creazione delle installazioni, le proiezioni si avvalgono dell’esperienza pittorica. In fondo si tratta sempre di mettere in relazione le forme con lo spazio e con il tempo. Il processo creativo è lo stesso. D’altro canto il nostro uso della tecnologia conserva sempre una componente “artigianale”, sia nella costruzione delle installazioni audiovisive in legno o gesso, sia nell’uso stesso delle macchine che sempre più sono chiamate a svolgere compiti elementari. Nelle ultime installazioni (che non ancora abbiamo presentato) questo è ancora più evidente: in Incliné il proiettore è inserito in una forma e si inclina con essa per proiettare una semplice linea sul muro, mentre in Container le retroproiezioni che emergono dai box sono immagini fotografiche in movimento. Si tratta di opere abbastanza lontane dal concetto di videoarte o di mapping: è un po’ come usare i software in modo artigianale per ottenere l’effetto più semplice e naturale possibile. Insieme a queste due installazioni abbiamo lavorato ad una serie di acquerelli riscoprendo il piacere di una tecnica immediata, di rapida esecuzione, che, proprio grazie al fatto che il processo creativo si completa in tempi brevi, ci permette di aderirvi con una maggiore concentrazione.

Minus.log, Incliné, installazione, 2019

Parlando di supporti – che nelle vostre installazioni divengono sculture vere e proprie entrando a far parte di diritto dell’installazione – ho notato che proprio questa ultima serie di acquerelli, intitolata AQ, è inscritta in supporti ben precisi, cornici che sono funzionali alla “cattura” del frame che intendete proporre…

Minus.log: Esatto. Le cornici non sono mai semplici cornici, ma parte integrante dell’opera, il suo completamento. AQ potrebbe essere vista anche come una serie di oggetti in legno, carta e colore. Questi materiali contribuiscono in modo indissolubile alla comunicazione con l’ambiente e con lo spettatore che si trova di fronte ad una sorta di “frame” (che, non a caso, può significare sia fotogramma che cornice), alla selezione di un’immagine che sembra essere stata catturata da un contesto più ampio.

Minus.log, Like swimming, acquerello, 23×18, 2020

Nel vostro processo di “selezione” ed emersione delle immagini qual è il rapporto con le immagini della comunicazione?

Minus.log: E’ impossibile tenersi fuori dal profluvio di immagini dei social e della comunicazione in generale. In realtà più che fare una selezione cosciente lasciamo che avvenga in noi in modo naturale ma, possibilmente, non automatico. Nella rapidità con la quale si susseguono le immagini oggi molti vedono un declino della comunicazione visiva: l’immagine sarebbe svuotata di ogni possibilità di comunicare a livello profondo poiché ciò che conta è l’impatto dei primi attimi e viene immediatamente sostituita da altri input. D’altro canto è proprio questa abbondanza che consente a sempre più persone di fruire di immagini che possano suscitare, anche per un attimo, la curiosità di approfondire. Vengono sostituite velocemente da altro? Può essere, ma potrebbero comunque aver lasciato qualcosa che ti spinge a soffermarti su qualcosa di simile, la prossima volta che l’incontri. E’ un discorso complesso di una società complessa e frammentata ma a noi piace credere che certe immagini non si incontrino casualmente, che le selezioniamo in modo più o meno consapevole e può essere importante anche soltanto un frame colto con la coda dell’occhio. Forse quello che avvertiamo come un possibile pericolo è che, proprio come gli algoritmi dei social ci propongono i prodotti ai quali abbiamo mostrato di essere interessati, così rischiamo di selezionare solo le immagini che già appartengono al nostro mondo, che ci risultano familiari. Sarebbe bello evitare questo automatismo e mantenere un certo grado di apertura anche per ciò che, al contrario, è lontano dal nostro mondo.

FONTI e APPROFONDIMENTI:
- Sito ufficiale Minus.log

Martina Lolli

ph Emanuela Amadio

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