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L’incanto della precisione: in conversazione con Marina Apollonio 

Figura di spicco dell’arte ottico-cinetica fin dagli anni Sessanta, Marina Apollonio colpisce per la sua simpatia ed entusiasmo coinvolgenti. L’ho incontrata per la prima volta alla galleria 10 A.M. ART a Milano, durante la mostra collettiva X – Incantamento e da lì è nato un dialogo che abbiamo poi avuto modo di approfondire.

Nell’opera di Marina Apollonio c’è un perfetto equilibrio tra rigore e incantamento: la precisione geometrica delle forme non raffredda lo stupore, anzi lo accende. Considerando il rigore che caratterizza il suo lavoro, sorprende piacevolmente scoprire in Marina Apollonio una carica debordante di calore e vivacità. 

Apollonio ha contribuito in modo personale e incisivo allo sviluppo del movimento attraverso un linguaggio fondato su principi matematici e la sperimentazione continua sull’instabilità dell’immagine e sul ruolo attivo dell’osservatore. Le sue forme, generate da sistemi ottico-cinetici, si animano in molteplici materiali, sempre diverse. 

La sua ricerca prende avvio nel 1963. Si forma all’Accademia di Belle Arti di Venezia, sotto la guida di Giuseppe Santomaso, da cui eredita una sensibilità analitica unita a un senso profondo per la materia e la vibrazione del colore. Fin dagli esordi, esplora i meccanismi della visione con un approccio che è insieme estetico e concettuale, dimostrando come la percezione possa essere manipolata.

Apollonio è stata recentemente celebrata alla Fondazione Guggenheim a Venezia con una grande personale. Nell’ ottobre 2025, 10 A.M. ART presenterà un suo solo show a Frieze Masters London nella sezione Spotlight.


 Marina Apollonio nel suo studio, 2010 | Archivio Marina Apollonio e Galleria 10 A.M. ART, Milano

Cosa l’ha spinta agli inizi del suo percorso, verso una ricerca così legata alla percezione e al rigore, e perché il cerchio è diventato la forma centrale del suo lavoro?

Marina Apollonio : La mia ricerca è iniziata negli anni ’60 orientata verso la geometria la matematica, ma diciamo che ho sempre avuto una propensione per la matematica, è nel mio DNA, e anche a scuola facevo i compiti per me e per i miei compagni se c’era bisogno. Il rigore, l’esattezza, la percezione visiva e le nuove dimensioni dello spazio erano le ricerche che m’interessavano. Amavo molto Mondrian, i suprematisti russi, i minimalisti, mentre l’informale era lontanissimo dalle mie idee. Sono orgogliosa che recentemente il Centro Ricerche Enrico Fermi (CREF) abbia esposto una mia opera nella mostra Enlighting Covisions – Ibridazioni tra fisica arte e design.

La domanda sul cerchio me la fanno sempre proprio tutti! Ci rido sopra e rispondo che è perché avevo un buon compasso! Il cerchio mi piace perché è una forma magica, tutto l’universo è circolare. Io triangoli nell’universo non ne ho mai visti! Mi ricordo di un collezionista amico di Vasarely che mi diceva che ‘le donne fanno i cerchi, gli uomini i quadrati’ per dire che le donne sono meno aggressive, meno spigolose.

Nel meno c’è il più, meglio togliere che aggiungere. Riuscire a creare un’emozione con poco e trasmetterla a chi guarda mi da grande soddisfazione.

MARINA APOLLONIO:  Dinamica Circolare 5HN, 1965/1967, smalto su legno, meccanismo rotante, Ø 64 cm

MARINA APOLLONIO: Dinamica Circolare 5HN, 1965/1967, smalto su legno, meccanismo rotante, Ø 64 cm | Archivio Marina Apollonio e Galleria 10 A.M. ART, Milano, photo by Mattia Mognetti

Nel 1965 lei vince il primo premio alla biennale “Il Chiodo d’oro” a Palermo, e partecipa a importanti collettive a Zagabria, Berna e Bruxelles solo per citarne alcune.  Nel 68 espone a Venezia nello studio di Paolo Barozzi e in quell’occasione Peggy Guggenheim acquista un suo lavoro. Cosa ha significato per lei, quell’acquisto?

Marina Apollonio : Paolo Barozzi era un personaggio conosciuto a Venezia per cui avevo grande simpatia, lo chiamavano tutti ‘contino’ veniva da una nobile famiglia veneziana. Conosceva e stimava mio padre ed era amico di Peggy Guggenheim. Esporre da lui alle Zattere a Venezia è stato un passo importante, ma ce n’erano già stati molti altri. Nel 65′ avevo partecipato alla Biennale a Palermo senza dire nulla a mio padre, che non voleva che facessi l’artista, mi diceva che avrei patito la fame. 

Quando la notizia del mio premio fu pubblicata sul Gazzettino di Venezia, sentii un urlo provenire dal salotto: “Cossa sé sta roba!”. E così è iniziata la mia storia. Io volevo fare il liceo artistico ma i miei genitori me lo impedirono, mi fecero fare le magistrali per cui proprio non ero tagliata, è stato difficile.  Mio padre per non essere tacciato di nepotismo non mi invitava mai a mostre in cui era coinvolto, ero sempre esclusa, contrariamente a quello che alcuni potevano pensare, altro che facilitata! 

Non incontrai Peggy alla personale da Barozzi, anche se l’avevo già vista più volte da bambina come amica di mio padre. Mi metteva un po’ di soggezione questa signora così famosa a Venezia. Barozzi m’informò che Peggy voleva acquistare una mia opera: acquistare era una bellissima parola allora per me, forse il primo acquisto e proprio dalla Guggenheim!

È stata un’emozione molto grande e mi ha dato la forza di continuare in una ricerca che a quel tempo non era per nulla apprezzata, ma Peggy era all’avanguardia ed è stato molto importante entrare nella sua collezione. Quell’opera era esposta alla mia recente personale alla Fondazione Guggenheim.

MARINA APOLLONIO alla mostra personale allo Studio 2B, Bergamo, 1967

MARINA APOLLONIO alla mostra personale allo Studio 2B, Bergamo, 1967 | Archivio Marina Apollonio e Galleria 10 A.M. ART, Milano

All’inizio del suo percorso, in che modo il confronto con Getulio Alviani e il contesto del Gruppo N hanno influenzato la sua prima produzione artistica?

Marina Apollonio : Prima del Gruppo N conobbi Getulio Alviani, che vide le mie opere s’interessò molto a me, anche come persona, ero una ragazza carina. Andai a vivere con lui a Udine, e disegnavo insieme a lui.

Mio coetaneo, Getulio soprattutto era molto brillante e aveva tantissime conoscenze, bravissimo insomma nelle pubbliche relazioni. Girammo tutta l’Europa sulla sua Porsche: uno dormiva e l’altro guidava, conoscendo tantissimi artisti da Julio Le Parc al Gruppo Zero di Düsseldorf, e tanti altri che stimavano il mio lavoro. Poi ero naturalmente in contatto con il gruppo N di Padova e il Gruppo T a Milano, tante magnifiche persone che sono rimaste poi a lungo anche mie amiche e con cui è stato molto bello condividere la ricerca.

C’è un particolare progetto o una mostra che considera un punto di svolta nel suo percorso artistico?

Marina Apollonio : Nella mostra Nova Tendencija a Zagabria, il movimento optical e cinetico era enorme, eravamo tutti giovani ragazzi pieni di entusiasmo, condividevamo una ricerca e questo era bellissimo: da una parte c’era l’informale e dall’altra noi.  Non c’erano solo artisti, ma critici e galleristi, tutti all’avanguardia, c’era Gillo Dorfles, Lea Vergine, Enzo Mari e Germano Celant. Ci mandavano messaggi, di nascosto, persino gli artisti russi, che non potevano viaggiare ma ci tenevano a dire ‘ci siamo anche noi, facciamo le vostre stesse ricerche’.

Eravamo squattrinati, restavamo senza benzina nei viaggi ma ci aiutavamo a vicenda, era un periodo davvero entusiasmante. C’era un progetto sociale dietro a tutto questo movimento, con Dino Gavina, ad esempio, che cominciò a produrre multipli d’artista perché queste opere moltiplicate potevano essere alla portata di tutti, era un progetto democratico diciamo.  Poi purtroppo le cose sono andate diversamente.

MARINA APOLLONIO: Rilievo circolare a diffusione cromatica N.21, 1973

MARINA APOLLONIO: Rilievo circolare a diffusione cromatica N.21, 1973 – pittura fluorescente su plastica incisa,70×70 cm | Archivio Marina Apollonio e Galleria 10 A.M. ART, Milano photo Mattia Mognetti

Dal nuovo millennio però si è assistito a un revival dell’arte programmata e cinetica, con mostre dedicate in grandi musei e gallerie e un grande interesse da parte delle generazioni giovani per queste tendenze. Perché secondo lei?

Marina Apollonio : Credo che all’inizio queste ricerche fossero comprese soprattutto da noi artisti, i critici e gli addetti ai lavori, era una parte di mondo piccola, e adesso invece ho notato che i giovani la scoprono per la prima volta, ma sanno leggere bene queste opere.  Ero alla Tate Modern di Londra alla mostra Electric Dreams: Art and Technology Before The Internet dove era esposta una mia opera, e ho visto l’interesse dei giovani che si fermavano a lungo davanti ai lavori, sanno capire le motivazioni che stanno dietro, una bella differenza dalle mie prime mostre quando le signore proibivano ai bambini di guardare i lavori perché ‘quella roba fa male agli occhi’!

Ma devo dire che anche alla mia recente personale al Guggenheim, le stesse signore, che oggi hanno la mia età e che allora erano inorridite, invitate all’inaugurazione fatta per gli amici del Museo erano entusiaste e frizzanti come se vedessero le opere di arte optical e cinetica per la prima volta! 

MARINA APOLLONIO nel suo studio, 1965

MARINA APOLLONIO nel suo studio, 1965 | Archivio Marina Apollonio e Galleria 10 A.M. ART, Milano

Significa che eravate davvero all’avanguardia. Lei ha sperimentato con molteplici materiali. In che modo la scelta dei materiali incide sulla resa ottica e sulla dinamicità delle sue superfici? C’è stato un materiale che in questo senso le ha dato maggior soddisfazione?

Marina Apollonio : Prima veniva la sperimentazione, il disegno e lo studio degli effetti che avrei potuto ottenere, e conseguentemente il tipo di materiale da utilizzare e il tipo di meccanismi rotanti da usare. Ad esempio, avevo in mente l’idea di una scultura e prima studiavo se usando acciaio piuttosto che alluminio mi avrebbe dato l’effetto che desideravo: era sempre sperimentazione. Nei meccanismi, il senso orario o antiorario cambiava la percezione dell’opera. Amavo molto l’alluminio più leggero e plasmabile, ma era più difficile da trattare rispetto all’acciaio. Quando poi mi chiesero di mettere delle sculture all’aperto, ho dovuto realizzarle sempre in acciaio.

A partire dagli anni Ottanta, il suo interesse si sposta anche verso la tessitura: come si integra questa fase nella sua poetica visiva?

Marina Apollonio : Mi è sempre piaciuta tanto la tessitura, ma non ho iniziato per fare qualcosa che c’entrasse con il mio percorso artistico, piuttosto per guadagnare qualcosa, dovevo pur vivere! Era un momento in cui le cose di tessitura a mano erano di moda e si vendevano, contrariamente alle opere. Tutto il movimento era in difficoltà, non avevamo mercato.

È stata dura, come mi aveva avvertito mio padre. Ma io pensavo alla fama, non alla fame!  Con la tessitura però avevo anche grande piacere di sperimentare, andavo sui colli a raccogliere le bacche e i malli delle noci per fare i colori. Mio marito Giancarlo Zen, anche lui artista, tornava a casa e vedeva questi gran pentoloni che bollivano sul fuoco e mi chiedeva ‘cosa si mangia di bello oggi?’ Ma erano bacche che bollivano e lana che si tingeva.

Quando si sparse la voce che facevo queste cose, fui invitata a partecipare a varie mostre che avevano come tema la tessitura e quindi ho realizzato delle opere con il mio rigore e le mie idee, ad esempio un libro nero con righe in materiali di lana o ciniglia, più spesse o più sottili, un discorso insomma sempre legato alle mie ricerche. Ma quello è stato un periodo legato a una necessità. Ho fatto di tutto per fare l’artista.

MARINA APOLLONIO: N.34 Gradazione-15P, 1972, acrilico su tela-70x70

MARINA APOLLONIO: N.34 Gradazione-15P, 1972, acrilico su tela-70×70 | | Archivio Marina Apollonio e Galleria 10 A.M. ART, Milano – photo Mattia Mognetti

Però le grandi soddisfazioni sono poi arrivate.

Marina Apollonio : Sì, iniziando dal 2007, l’anno della mostra alla Schirn Kunsthalledi Francoforte. I nuovi galleristi erano più orientati verso questo tipo di arte, e anche il loro giro di collezionisti. Vendere naturalmente vuol anche dire riuscire ad andare avanti a lavorare, a comprare materiali, a fare ricerca. 

Partecipare alla mostra “Op Art” alla Schrin Kunstahalle con Spazio ad Attivazione Cinetica (67-71/2007) (un disco rotante bianco e nero calpestabile di dieci metri di diametro che fu collocato nella rotonda interna del museo N.d.R.) fu un vero colpo di fortuna, ancora oggi mi chiedo come il direttore Max Hollein fece a sapere di questo ambiente, deve aver visto il progetto in una pubblicazione, perché fino ad allora era solo un progetto non realizzato.

Mi chiamò e mi disse che il progetto era adatto al grande cortile del museo, contornato da colonne. Inizialmente quando mi dissero dei dieci metri di diametro pensai ci fosse un errore di traduzione. 

Fu una tale pubblicità in tutto il mondo, in tutte le lingue fui anche sulla copertina di Artforum, con questo progetto datato anni Sessanta e da quel momento poi tutti vollero questi ambienti, da New York a Parigi.  

Bianca Maria Menichini, Marina Apollonio e Christian Akrivos, Galleria 10 A.M. ART, 2025

Bianca Maria Menichini, Marina Apollonio e Christian Akrivos, Galleria 10 A.M. ART, 2025

Anche all’interno della recente personale al Guggenheim ha esposto un’installazione ambientale.

Marina Apollonio : Avevo piacere di fare un ambiente che concludesse la mostra, e dal momento che il museo ha parecchie piccole stanze, in una di queste ho usato una proiezione. È sempre un mio cerchio che gira, proiettato su tre pareti. Sono stata molto contenta anche della collaborazione con il musicista Guglielmo Bottin ispirata alla mia opera Fusione Circolare (2016). Gli artisti non si fermano mai! Con Dadamaino, che era una mia grande e cara amica, dicevamo sempre che abbiamo preso un virus da piccole che non ci lascia mai.

Cosa ha significato per lei ritornare a Venezia con una grande personale?

Marina Apollonio : Ero sì in collezione, ma mai avrei pensato a una mia personale. Karol Veil, bravissima e simpaticissima direttrice della Fondazione e nipote di Peggy, ha organizzato mostre di arte cinetica e programmata dei lavori in collezione in cui c’era la mia opera, ma non consideravo la possibilità di una personale. È stata una enorme soddisfazione, ma ora il lavoro non si ferma più! Menomale ho un figlio meraviglioso che mi aiuta tanto.

Il ritorno a Venezia, poi, è stato per me qualcosa di molto speciale. Ho rivissuto i ricordi del tempo con mio padre, che mi portava in quel giardino meraviglioso della Fondazione. Ho rivisto la nostra casa alle Zattere, ricordato gli incontri di quando ero bambina – timidissima – con tanti amici di papà: Santomaso, ad esempio, che quando la moglie era incinta diceva a mio padre: “Voglio anche io una bambina bionda con gli occhi azzurri come Marina!”. E così fu. Ma la chiamarono pure Marina!Io mi ero tanto arrabbiata: pensavo che quella bambina mi avesse rubato il nome.

Poi c’erano Giancarlo Scarpa, Vedova, Gigi Nono… insomma, tutto un mondo speciale e bellissimo.

MARINA APOLLONIO: Dinamica Circolare 5D, 1964-china su carta riportata su alluminio, 70x70

MARINA APOLLONIO: Dinamica Circolare 5D, 1964-china su carta riportata su alluminio, 70×70 | Archivio Marina Apollonio e Galleria 10 A.M. ART, Milano, photo by Mattia Mognetti

Alessandra Alliata Nobili

Founder e Redazione | Milano
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